La tutela dell’ambiente entra in Costituzione: e ora?


  1. Considerazioni introduttive

L’8 febbraio 2022 sono state approvate le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione, che introducono la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali tra i principi fondamentali della Carta costituzionale.

Per la prima volta dal 1948 viene apportata una modifica a uno degli articoli della Costituzione, contenenti i c.d. “Principi Fondamentali” dell’ordinamento costituzionale (articoli 1-12).

Con la modifica dell’articolo 9, la legge costituzionale introduce tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Stabilisce, altresì, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

La riforma è intervenuta anche sul secondo comma dell’articolo 41. La nuova formulazione dispone che l’attività economica privata è libera, e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o “in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. L’articolo prevede inoltre che la legge determini i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata “a fini sociali e ambientali”.

Ad oggi l’art. 9 Cost. tutela quindi non solo più il paesaggio, ma anche l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi; per altro verso, l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente. Volendo calare nella pratica l’introduzione di questi nuovi principi, con riferimento alla realizzazione di nuove opere, ad esempio, potremmo lecitamente concludere che la valutazione sull’opportunità (e legittimità) di una nuova costruzione non muove più unicamente dall’esigenza di tutelare il paesaggio giacché, a fianco ad esso, compaiono altri beni parimenti tutelati in via immediata quali l’ambiente, la biodiversità e l’ecosistema. Il che si traduce in un serio bilanciamento di interessi da operare a livello amministrativo – centrale o locale – per determinare, caso per caso, se l’opera realizzanda porti più vantaggi all’ambiente, biodiversità ed ecosistemi nell’interesse delle future generazioni di quanto nocumento possa causare al paesaggio.

2. Ambiente e Costituzione: è davvero una novità?

Nella sua formulazione originaria, la Costituzione non conteneva disposizioni espressamente finalizzate a proteggere l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi. Gli unici riferimenti ai concetti di “ambiente” ed “ecosistemi” sono stati introdotti a seguito della riforma del titolo V della Costituzione in relazione al riparto di competenze tra Stato e Regioni.

Ciononostante, la dottrina, prima, e la giurisprudenza – segnatamente quella costituzionale – hanno cercato di attribuire un fondamento costituzionale alle politiche di tutela ambientale tramite il ricorso ad altre disposizioni.

La Corte Costituzionale ha preso le mosse dapprima dallo stesso articolo 9 della Costituzione, che al secondo comma individua tra i compiti assegnati alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Con l’emersione delle tematiche ambientali, la nozione di “paesaggio” è stata interpretata estensivamente dalla Corte, passando da un concetto che “ha di mira unicamente i valori paesistici”, estranei alla “natura in quanto tale, e quindi la fauna e la stessa flora” (C. Cost. 106/76) ad un concetto di paesaggio fortemente slegato dalla sua dimensione meramente estetica. A partire dagli anni ’80, dunque, il paesaggio viene a coincidere con la “forma del territorio e dell’ambiente”, includendo anche la tutela ambientale.

L’interpretazione che faceva perno sull’articolo 9 e sulla nozione di paesaggio non permetteva però di offrire una copertura costituzionale a circostanze che, pur non concernendo la “forma del Paese”, avevano un impatto sull’ambiente (si pensi ad esempio alle emissioni di anidride carbonica e gas nell’atmosfera, o all’utilizzo di diserbanti agricoli). La giurisprudenza è andata dunque alla ricerca di fondamenti costituzionali ulteriori, basandosi in particolare sull’articolo 32 della Costituzione e, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 210/1987, il diritto alla salute è stato inteso come diritto ad un ambiente salubre.

Infine, la Corte ha accolto la tesi per cui i doveri di solidarietà economica, politica e sociale imposti dall’articolo 2 della Costituzione includerebbero anche i doveri di solidarietà ambientale, dando copertura costituzionale a tutti quei casi che fuoriuscivano dall’ambito di applicazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione.

3. La tutela dell’ambiente negli altri ordinamenti

La modifica della Costituzione italiana si inserisce nel contesto evolutivo del diritto già affermato in vicini Paesi europei, che riconoscono espressamente nei loro testi costituzionali la tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.

La Costituzione spagnola, ad esempio, all’articolo 45 sancisce il diritto di tutti di fruire di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona e al contempo il dovere di conservarlo. Prevede inoltre l’obbligo per i poteri pubblici di assicurare un utilizzo razionale delle risorse naturali, rimandando alla legge dello Stato la determinazione di sanzioni nel caso di violazione di tali obblighi.

In maniera analoga, la Costituzione greca, all’articolo 24, precisa che la protezione dell’ambiente naturale e culturale costituisce un dovere dello Stato e che questo è tenuto a prendere misure speciali preventive o repressive per la sua conservazione.

Riferimenti all’ambiente sono inclusi anche nella Carta fondamentale portoghese, che all’articolo 66 riconosce a tutti il diritto ad un ambiente di vita umano, sano ed ecologicamente equilibrato, imponendo ai cittadini il dovere di difenderlo. Lo stesso articolo prevede inoltre una serie di compiti specifici per lo Stato per assicurare il diritto all’ambiente, nel quadro di uno sviluppo sostenibile, quali la prevenzione e il controllo dell’inquinamento, la promozione del territorio e la valorizzazione del paesaggio, la promozione dello sfruttamento razionale delle risorse naturali.

Altre Costituzioni fanno riferimento invece al concetto di sviluppo sostenibile[1].

La Costituzione francese rappresenta invece un esempio a sé, dal momento che con legge costituzionale del 1° marzo 2005 è stato introdotto, nel preambolo del testo costituzionale, un riferimento esplicito alla Chart de l’environnement del 2004, che diviene ora parametro per le valutazioni del Conseil constitutionnel.

4. Il nuovo articolo 9

La nuova formulazione dell’articolo 9 pone sin da ora alcuni dubbi interpretativi.

Anzitutto, alcuni dubbi sono stati sollevati in merito all’utilizzo del termine “future generazioni[2]. La riforma costituzionale infatti inserisce all’art. 9 Cost. il concetto di una responsabilità intergenerazionale, ma non è chiaro come questa espressione si relazioni con il concetto di “sviluppo sostenibile”, che non è stato invece introdotto nel testo della riforma.

È dubbio inoltre a cosa si riferisca il legislatore quando utilizza la locuzione “anche”. Difatti la locuzione, data la sua genericità, potrebbe apparire riferibile tanto alle generazioni attuali, quanto all’ambiente nel suo complesso. Si potrebbe ritenere, ad esempio, che la tutela dell’interesse delle future generazioni imponga, a parità di opera da realizzare, di preferire una tecnologia innovativa che riduca al minimo il consumo di risorse naturali (si pensi a una centrale di produzione di idrogeno verde in luogo della centrale elettrica classica).

Inoltre, si configura un dubbio su chi sia legittimato ad agire a tutela dell’ambiente dopo la riforma del testo costituzionale. In particolare, ad oggi, sulla base del combinato disposto degli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349, solo le associazioni ambientaliste, “individuate con decreto del ministro dell’Ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto”, possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi. Alla luce del nuovo inserimento tra i principi fondamentali della Costituzione della necessità per la Repubblica di tutelare l’ambiente, anche nell’interesse delle “future generazioni”, potrebbe sostenersi che le limitazioni legislative sulla legittimazione ad agire a tutela di un bene costituzionalmente protetto siano da rivedere.

Riguardo all’introduzione del concetto di “biodiversità” al terzo comma dell’articolo 9, si ricorda che in mancanza di un esplicito riferimento alla “biodiversità” nel testo della Costituzione, la giurisprudenza la riconduceva nell’alveo della tutela dell’ambiente. Sennonché, la recente riforma costituzionale ha introdotto il concetto di “biodiversità”, affiancandolo alle nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”, già posti in relazione tra di loro all’articolo 117 Cost. Ci si chiede dunque se i tre termini siano espressione di un unico bene giuridicamente tutelato o se possano restare indipendenti tra di loro.

Sulla relazione tra le nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”, la Corte Costituzione ha già affermato che “anche se i due termini esprimono valori molto vicini, la loro duplice utilizzazione, nella citata disposizione costituzionale, non si risolve in un’endiadi, in quanto col primo termine si vuole, soprattutto, far riferimento a ciò che riguarda l’habitat degli esseri umani, mentre con il secondo a ciò che riguarda la conservazione della natura come valore in sé” (sentenza n. 12/2009). Analoghe riflessioni possono valere in relazione al termine “biodiversità” che, secondo la definizione della Convenzione di Rio sulla diversità biologica[3], deve essere intesa come la variabilità di tutti gli organismi viventi inclusi negli ecosistemi acquatici, terrestri e marini e nei complessi ecologici di cui essi sono parte. La biodiversità, come concetto che “include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi”, si presenta dunque come un concetto differente – seppur connesso – dalle nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”.

5. Le conseguenze della riforma sul riparto di competenze tra Stato e Regioni

In materia di riparto di competenze tra Stato e Regioni, l’articolo 117, comma 2, lettera s), attribuisce alla competenza esclusiva statale “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, mentre, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali” viene inclusa tra le materie di legislazione concorrente.

Di conseguenza, dopo la riforma non è escluso che la tutela della biodiversità – non ricompresa né all’interno delle materie a legislazione esclusiva, né nelle materie di legislazione concorrente – possa ricadere nell’ambito di applicazione del quarto comma dell’articolo 117, che prevede una competenza residuale delle Regioni in relazione alle materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato. In questo caso le Regioni sarebbero competenti per l’adozione di una serie di misure a tutela della biodiversità che, considerando le strette interrelazioni con la materia “ambiente”, potrebbero di fatto comportare un’erosione delle competenze riservate alla legislazione esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma. Un’interpretazione di questo genere si discosterebbe tuttavia dall’orientamento prevalente della Corte Costituzionale che, prima della riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione, ha più volte dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni delle leggi regionali in materia di biodiversità, affermando che la materia “ambiente” rientra nella competenza esclusiva dello Stato[4].

L’analisi sull’evoluzione nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di biodiversità non può prescindere da un riferimento alla tutela degli animali, che viene introdotta per la prima volta nel testo costituzionale dal terzo comma dell’articolo 9.

Una previsione costituzionale che introduce un riferimento esplicito alla dimensione faunistica caratterizza al tempo stesso un parametro utile per ricostruire una tutela degli animali a livello costituzionale e un limite alla competenza legislativa regionale. Difatti, da un lato, la riforma dell’articolo 9 è idonea a porre fine alle difficoltà interpretative della Corte, che ha dovuto ricorrere ora al riparto di competenze ai sensi dell’articolo 117 Cost. (in particolare alla materia “ricerca scientifica”), ora al rispetto degli obblighi internazionali (ad esempio l’articolo 13 TFUE o la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia), ai fini di assicurare una tutela agli animali.

Sotto un diverso profilo però l’articolo 9 introduce una riserva di legge statale per quanto riguarda la disciplina dei modi e le forme di tutela degli animali che deve necessariamente essere coordinata con le altre disposizioni in materia di riparto di competenze.

6. L’articolo 41

La riforma è intervenuta sul secondo comma dell’articolo 41 Cost., aggiungendo due ulteriori vincoli alla libertà di iniziativa economica privata, che non può svolgersi in contrasto – oltre che con l’utilità sociale, la sicurezza, la liberà e la dignità umana – con la salute e l’ambiente. La novella costituzionale ha inoltre riformato il terzo comma dell’articolo 9 che, prevedendo che l’attività economica pubblica e privata “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”, suggerisce l’idea che la legislazione dello Stato debba tener conto anche delle esigenze ecologiche.

Le modifiche dell’articolo 41 riprendono i principi sul bilanciamento tra i vari interessi costituzionali già affermati dalla Corte Costituzionale nelle varie interpretazioni del dettato costituzionale. In particolare la Corte, nel cd. “caso ILVA” ha ricordato che la tutela della libera iniziativa economica deve essere comunque bilanciata con il diritto alla salute (da cui deriva il diritto all’ambiente salubre) e al lavoro.

La cristallizzazione degli indirizzi giurisprudenziali della Consulta rafforza dunque il peso dell’ambiente e della salute nel bilanciamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti.


[1] Ad esempio la Costituzione federale della Confederazione Svizzera contiene l’articolo 73, rubricato “Sviluppo sostenibile”.

[2] La responsabilità nei confronti delle generazioni future non è un tema nuovo sul piano internazionale. Nella Dichiarazione di Rio de Janeiro, approvata nel giugno 1992, è stato inserito il principio 3, secondo il quale “Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente e allo sviluppo delle generazioni presenti e future”. Ma anche nella Convenzione sulla diversità biologica, firmata nel 1992 a seguito della Conferenza di Rio de Janeiro, le parti si dichiarano “decise a conservare ed usare in modo sostenibile la diversità biologica a beneficio delle generazioni presenti e future”.

Al tempo stesso, un riconoscimento del ruolo delle “future generazioni” è stato spesso sottolineato anche nella sua stretta relazione con i diritti umani. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 364/01), nel preambolo, afferma che la salvaguardia dei valori comuni e la tutela dei diritti umani “fa sorgere la responsabilità e doveri nei confronti degli altri, come pure della comunità umana e delle generazioni future”. In maniera analoga, la Convenzione di Aarhus (Danimarca 23-25 giugno 1998) riconosce, tra le sue finalità, “la necessità di tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere”.

[3] La Convenzione sulla diversità biologica è stata firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e ratificata in Italia con legge del 14 febbraio 1994, n. 124

[4] Ad esempio, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittime alcune disposizioni di una legge regionale (Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale (P.I.E.A.R), Allegato alla L.R. n. 1 del 2010 Basilicata) che ponevano vincoli tassativi alla realizzazione di determinati impianti fotovoltaici nei siti Natura 2000. Secondo il Giudice delle leggi la preclusione assoluta alla realizzazione di impianti fotovoltaici nelle aree della Rete Natura 2000 imposta dalla Regione contrastava apertamente con la disciplina protezionistica statale già esistente, che regolava gli interventi all’interno delle aree protette, non già escludendone incondizionatamente l’installazione, ma sottoponendone la fattibilità alla valutazione di incidenza ambientale. Di conseguenza la legge regionale doveva ritenersi illegittima per contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione (sentenza 67/2011). In un caso simile (sentenza 38/2015) la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge regionale del Veneto che, in attesa di un’organica disciplina in materia di tutela della biodiversità, aveva dettato una serie di misure a tutela della rete ecologica regionale “Natura 2000”, invadendo la competenza esclusiva statale in materia di ambiente.




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