Newsletter Telecommunications, Media & Technology n. 5 settembre 2018


TLC – TV E MEDIA – INTERNET – SERVIZI IT – NUOVE TECNOLOGIE – RETI E INFRASTRUTTURE

IN QUESTO NUMERO:

1. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE – COMPETENZA: la Corte di Giustizia riconosce la prevalenza della competenza generale dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette (sentenza Corte di Giustizia 13 settembre 2018, cause riunite C-54/17 e C-55/17 Wind Tre).
2. MEDIA – TLC – FREQUENZE: aggiornamento sui provvedimenti del MISE e di Agcom in materia di riassetto delle frequenze per la trasmissione TV in digitale terrestre e assegnazione delle frequenze per servizi 5G.
3. TLC – TUTELA DEGLI UTENTI: l’Agcom approva le misure relative alla libertà di scelta dei terminali di accesso a Internet da rete fissa (Delibera Agcom 348/18/CONS).
4. ANTITRUST – PREZZI DISCRIMINATORI: la Corte di Giustizia chiarisce le condizioni per considerare l’applicazione di prezzi diversi a servizi analoghi come un abuso di posizione dominante (sentenza Corte di Giustizia 19 aprile 2018, causa C-525/16).
5. SERVIZI IT – GARE PUBBLICHE: il Tar Lazio respinge un ricorso contro l’aggiudicazione del servizio di aggiornamento della rete inter-polizia in ponti radio, anche sulla base di valutazioni tecniche sulla congruità delle offerte (sentenza Tar Lazio n. 9148/2018).
6. MEDIA – TUTELA DEI MINORI: il Tar Lazio annulla due delibere sanzionatorie dell’Agcom in materia di tutela dei minori nelle trasmissioni televisive, e precisa alcuni limiti della normativa applicabile (sentenze Tar Lazio nn. 4265/2018 e 3391/2918).
7. ANTITRUST – BIG DATA: la Commissione Europea autorizza senza condizioni l’acquisizione di Shazam da parte di Apple (decisione Commissione Europea 6 settembre 2018).
8. AGCOM – PROCEDIMENTI SANZIONATORI: il Tar Lazio annulla una delibera sanzionatoria dell’Agcom per violazione dei termini di apertura del procedimento e di durata massima del procedimento (sentenza Tar Lazio n. 3948/2018).
9. TLC – INFRASTRUTTURE: il Tar Lazio statuisce l’obbligo da parte dei Comuni di pronunciarsi anche sulla possibilità di autorizzare l’installazione di impianti in deroga ai limiti di localizzazione (sentenza Tar Lazio n. 6568/2018).
10. TLC – CONTROVERSIE TRA OPERATORI E UTENTI: la Cassazione stabilisce che il tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie tra operatori TLC e utenti riguarda anche le azioni di risarcimento proposte dagli utenti (Corte Cass., ordinanza n. 4575/2018).

1. PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE – COMPETENZA

La Corte di Giustizia riconosce la prevalenza generale della competenza dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette (sentenza Corte di Giustizia 13 settembre 2018, cause riunite C-54/17 e C-55/17 Wind Tre).

La Corte di Giustizia ha pubblicato l’attesa sentenza 13 settembre 2018, cause riunite C-54/17 e C-55/17 Wind Tre con la quale si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato in merito al riparto di competenza tra Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e autorità di regolazione di settore nell’applicazione delle norme in materia di tutela del consumatore e pratiche commerciali scorrette (PCS). In sintesi, la Corte:

a) ha riconosciuto l’applicazione generale delle norme in materia di PCS ai sensi della Direttiva 2005/29/CE (recepita dagli artt. 21 e ss. Cod. Cons.) e, quindi, la relativa competenza dell’AGCM, anche nei settori regolamentati come quello TLC;
b) con specifico riferimento alla fattispecie esaminata (una pratica aggressiva consistente nell’attivazione non richiesta di servizi opzionali sulle SIM dei telefoni cellulari), ha accertato l’incompetenza dell’autorità di regolazione settoriale (Agcom) poiché la condotta in questione rappresentava una PCS e non rientrava nell’ambito di applicazione delle direttive di settore recepite in Italia dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche (D.Lgs. 259/2003);
c) ha rilevato che la Direttiva “Servizio Universale” 2002/22/CE (che stabilisce anche alcune norme settoriali in materia di tutela degli utenti nei servizi TLC, recepite dagli artt. 70 e ss. D.Lgs. 259/2003) non include previsioni che disciplinano aspetti specifici delle PCS;
d) ha sostanzialmente ammesso – seppur entro limiti ristretti – la possibilità di una competenza prevalente di un’autorità settoriale rispetto a quella dell’AGCM in materia di PCS qualora, in applicazione del principio di specialità di cui all’art. 3, comma 4, Direttiva 2005/29/CE, vi sia un contrasto tra norme in materia di PCS e norme speciali di settore che disciplinano aspetti specifici delle PCS.

La Corte, dunque, ha risolto in maniera sostanzialmente perentoria la principale questione pregiudiziale che le era stata posta (da ricondursi al riparto di competenze tra AGCM e autorità settoriali), sancendo che la competenza dell’AGCM nell’applicazione delle norme in materia di PCS è da ritenersi generale, a prescindere dalla presenza, in determinati settori, di norme regolamentari di competenza di autorità settoriali.

Più complessa è la questione relativa alla possibile prevalente competenza delle autorità settoriali in applicazione di norme speciali. A tale riguardo, il punto cruciale è rappresentato dall’interpretazione del “contrasto” tra norme in materia di PCS e norme settoriali che conduce alla prevalente applicazione di queste ultime (ai sensi del principio di specialità di cui all’art. 3, comma 4, Direttiva 2005/29/CE): ebbene, la Corte fornisce una interpretazione piuttosto restrittiva di tale “contrasto”, affermando che esso “denota un rapporto tra le disposizioni cui si riferisce che va oltre la mera difformità o la semplice differenza” (par. 60) e “sussiste unicamente quando disposizioni estranee [alla direttiva 2005/29/CE], disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29” (par. 61).

Un aspetto che è rimasto invece in secondo piano in questa sentenza è rappresentato dall’ipotesi di contestuale intervento, su una medesima condotta, sia dell’AGCM (ai sensi delle norme su PCS), sia di un’autorità di settore (ai sensi di norme regolamentari, benché non legate da un rapporto di specialità e contrasto con le norme sulle PCS). Sarebbe stato senz’altro utile un chiarimento su tale cruciale aspetto, anche alla luce della precedente sentenza 16 luglio 2015, causa C-544/13 Abcur, che sembra lasciare spazio ad un contestuale intervento di diverse autorità su una medesima condotta, pur con le molteplici problematiche che da ciò deriva, ad esempio in relazione al principio del ne bis in idem.

Quale ulteriore elemento di rilievo, la sentenza C-54/2017 appare sostanzialmente coerente con l’attuale art. 27, comma 1-bis, Cod. Cons. Anche tale previsione infatti, seppur suscettibile di un’interpretazione non del tutto univoca, stabilisce da un lato la competenza dell’AGCM in materia di PCS anche nei settori regolati e, dall’altro, la competenza delle autorità settoriali nei casi di violazione della regolazione che non integrano gli estremi di una PCS.

Come noto, le incertezze sul riparto di competenza in materia di tutela del consumatore risalgono alle sentenze dell’Ad. Plen. del Consiglio di Stato del 11 maggio 2012 (che avevano accertato l’incompetenza dell’AGCM in materia di tutela del consumatore in presenza di normative speciali di settore), a cui sono seguiti diversi interventi del legislatore (fino all’attuale art. 27, comma 1-bis, Cod. Cons.) e altre pronunce dei giudici amministrativi, talvolta non del tutto chiare e coerenti (per un’analisi della normativa e giurisprudenza intervenuta fino al rinvio pregiudiziale in questione, sia consentito il rinvio a V. Mosca, Il riparto di competenze sulla tutela del consumatore all’esame della Corte di Giustizia – Giorn. Dir. Amm. 4/2017).

Anche nella sua concreta applicazione nelle corti e nelle autorità italiane, è auspicabile che tale pronuncia della Corte di Giustizia conduca finalmente al definitivo superamento di un contesto che, nell’applicazione delle norme a tutela del consumatore, dal 2012 ad oggi è stato caratterizzato da incertezze applicative, contrasti tra Autorità e disorientamento di imprese e consumatori.

2. MEDIA – TLC – FREQUENZE

Aggiornamento sui provvedimenti del MISE e di Agcom in materia di riassetto delle frequenze per la trasmissione TV in digitale terrestre e assegnazione delle frequenze per servizi 5G.

Si fornisce di seguito una sintesi delle recenti attività condotte dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) e dall’Agcom, secondo quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2018 (art. 1 Legge 205/2017, commi 1026 e ss.), per l’assegnazione delle frequenze per la fornitura di servizi a banda ultra larga mobile in tecnologia 5G, le procedure per liberare le frequenze 700 MHz (attualmente utilizzate da operatori radiotelevisivi), nonché il riassetto delle frequenze per servizi radiotelevisivi. In particolare:

a) Con Delibera 290/18/CONS del 27 giugno 2018, Agcom ha adottato il nuovo Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze destinate al servizio televisivo digitale terrestre (PNAF 2018), basato sulla liberazione della banda 700 MHz da parte degli operatori di rete del digitale terrestre. Il Piano prevede 15 nuove reti (multiplex) digitali terrestri basate sulla tecnologia DVB-T2, che consente una più ampia capacità trasmissiva, a fronte della restrizione dello spettro disponibile per i servizi radiotelevisivi. Tali reti digitali sono così ripartite: 10 reti nazionali in banda UHF, 4 reti locali in banda UHF e una rete su base regionale in banda III VHF (destinata alla trasmissione di programmi televisivi in ambito locale e di programmi di servizio pubblico relativi all’informazione a livello regionale). L’Agcom ha dunque mantenuto la riserva all’emittenza locale di un terzo della capacità trasmissiva. La suddetta pianificazione in ambito locale è stata effettuata sulla base di 18 aree tecniche geografiche.
b) Lo stesso 27 giugno 2018, Agcom ha inviato una segnalazione al Governo nella quale ha espresso alcune criticità in merito all’applicazione delle norme della Legge di Bilancio 2018, relative in particolare (i) all’assegnazione delle frequenze all’emittenza locale nella misura di un terzo della capacità trasmissiva che, se modificata, consentirebbe di liberare ulteriore spazio frequenziale a favore degli operatori di rete nazionale, e (ii) all’utilizzo del criterio della “capacità trasmissiva” (a fronte della titolarità di frequenze), che richiederebbe maggiori specificazioni da parte del legislatore per evitare problematiche o ritardi in sede attuativa.
c) Con decreto ministeriale 8 agosto 2018, il MISE ha stabilito il calendario per la liberazione progressiva, tra il 1° gennaio 2020 e il 30 giugno 2022, della banda 700 MHz da parte degli operatori di rete titolari di multiplex del digitale terrestre. In particolare, questo decreto stabilisce la sequenza di rilasci e di accensioni degli impianti trasmissivi, sulla base di quattro aree geografiche (e ulteriori aree ristrette interessate dai rilasci delle frequenze dei canali 50 e 52) in cui è stato suddiviso il territorio nazionale per il progressivo rilascio delle frequenze pianificate dal PNAF 2018. Nello stesso decreto è stato previsto che la codifica MPEG4 su standard DVBT sarà utilizzato per il segnale televisivo al fine di un utilizzo più efficace dello spettro (con conseguente impatto anche sugli apparecchi televisivi, che dovranno risultare conformi a tale standard a partire dal 2022).
d) Con ulteriore decreto ministeriale 8 agosto 2018, il MISE ha stabilito la creazione di un Tavolo di coordinamento denominato “TV 4.0” finalizzato ad armonizzare e coordinare le attività di rilascio della banda 700MHz, nonché a elaborare strumenti volti a favorire la trasformazione digitale del settore televisivo. Fanno parte di questo tavolo i rappresentanti delle istituzioni competenti in materia, gli operatori televisivi e le associazioni di categoria interessate.
e) In data 10 settembre 2018, il MISE ha avviato la procedura competitiva per l’aggiudicazione dei diritti d’uso delle frequenze per servizi 5G, ossia quelle in banda 700 MHz (inclusi due blocchi dedicati a operatori nuovi entranti), 3.6-3.8 GHz e 26 GHz. Le regole di gara sono state definite dal disciplinare pubblicato in data 11 luglio 2018, anche sulla base di quanto stabilito (anche in relazione agli obblighi di copertura minima e condivisione delle frequenze) dalla Delibera Agcom 231/18/CONS.

3. TLC – TUTELA DEGLI UTENTI

L’Agcom approva le misure relative alla libertà di scelta dei terminali di accesso a Internet da rete fissa (Delibera Agcom 348/18/CONS).

Con Delibera 348/18/CONS, l’Agcom ha adottato le misure attuative dell’art. 3 Regolamento n. 2015/2120/UE in materia di net neutrality (anche in relazione alle linee guida attuative adottate dal BEREC il 30 agosto 2016), con riferimento alla libertà di scelta delle apparecchiature terminali (modem / router) utilizzate per l’accesso a Internet da postazione fissa. Il principio di fondo di questo provvedimento è quello di consentire agli utenti di scegliere liberamente il modem/router per la connettività da rete fissa (dati e voce + dati), anche se diverso rispetto all’apparato fornito dall’operatore TLC, spesso in maniera abbinata rispetto ai servizi di rete fissa. Analoga libertà di scelta riguarda anche i servizi di installazione, allacciamento, collaudo e manutenzione delle apparecchiature scelte dall’utente. L’analisi di questa delibera Agcom solleva però anche alcune criticità applicative, in presenza delle quali ci si interroga sulla sua reale efficacia in relazione all’utilizzo più o meno ampio di terminali prodotti da soggetti diversi dagli operatori TLC.

In primo luogo, viene stabilito che i contratti con gli utenti non possono contenere condizioni (prezzo, volumi di dati o velocità, etc.) che limitino il diritto degli utenti di scegliere e utilizzare terminali di soggetti terzi. Analogamente, da un punto di vista tecnico, gli operatori non possono rifiutare di collegare un’apparecchiatura terminale alla rete se essa soddisfa i requisiti di base previsti dalla normativa europea e nazionale, né imporre agli utenti oneri aggiuntivi, nonché inibire l’utilizzo o discriminare la qualità dei singoli servizi inclusi nell’offerta.

Per quanto riguarda gli obblighi informativi, i fornitori di servizi di accesso ad Internet dovranno rendere disponibili le caratteristiche tecniche delle interfacce della propria rete, necessarie al collegamento di modem/router di soggetti terzi. Si tratta di informazioni che appaiono destinate principalmente ai produttori di apparati, ma che sollevano interrogativi in merito alla loro possibile confidenzialità e rilevanza ai fini di sicurezza e integrità delle reti. A questo proposito, si ritiene comunque che non spetti agli operatori verificare la compatibilità con le proprie interfacce degli apparati commercializzati da terzi.

Gli operatori sono tenuti altresì a consentire agli utenti la corretta configurazione dei parametri del terminale necessari alla fruizione dei servizi di connettività attraverso: protocollo standard per l’autoconfigurazione dell’apparato (specificando sul proprio sito web la lista aggiornata degli apparati presenti sul mercato compatibili con tale meccanismo), oppure fornendo all’utente le specifiche e i parametri necessari alla configurazione (che devono essere contenuti in almeno due dei seguenti mezzi: documenti contrattuali, comunicazione scritta inviata all’utente; area web riservata; call center).

Un aspetto di particolare rilievo riguarda i contratti caratterizzati dall’abbinamento tra servizi di connettività alla rete fissa e fornitura del modem/router di accesso. Tali contratti non sono vietati, ma devono assicurare la facoltà dell’utente di utilizzare terminali forniti da soggetti terzi. A tal fine, l’operatore dovrà indicare nel contratto di abbonamento le informazioni relative a: eventuali restrizioni approvate dall’Agcom all’utilizzo delle apparecchiature terminali fornite; procedure di misura e gestione dei dati di consumo; servizi accessori di installazione, collaudo e manutenzione dei terminali.

Inoltre, nel caso di contratti di servizi di connettività con l’abbinamento del modem/router a titolo oneroso, gli operatori dovranno fornire separata evidenza del valore del terminale, nonché dei costi per il suo noleggio o acquisto, prevedendo inoltre per ciascuna offerta anche un’offerta corrispondente che non includa la fornitura del terminale (e i relativi costi), o che comunque renda opzionale tale fornitura.

La delibera prevede altresì la possibilità che la fornitura del modem/router da parte dell’operatore sia a titolo gratuito, ma in tal caso devono essere fornite all’utente le condizioni tecniche ed economiche aggiuntive relative alla fornitura del terminale (ad esempio, assistenza e manutenzione, durata, etc.). Inoltre, in caso di recesso, la mancata restituzione di un terminale non utilizzato dall’utente, ancorché ceduto a titolo non oneroso, non dovrà generare oneri aggiuntivi per l’utente. Si ritiene comunque che l’assenza di tali oneri aggiuntivi non si riferisca ai costi di recesso consentiti dal Decreto Bersani (D.L. n. 7/2007), dal momento che essi si riferiscono al contratto di fornitura dei servizi.

4. ANTITRUST – PREZZI DISCRIMINATORI

La Corte di Giustizia chiarisce le condizioni per considerare l’applicazione di prezzi diversi a servizi analoghi come un abuso di posizione dominante (sentenza Corte di Giustizia 19 aprile 2018, causa C-525/16).

La sentenza della Corte di Giustizia UE 19 aprile 2018, causa C-525/16 Meo – Serviços de Comunicações e Multimédia si è pronunciata, in via pregiudiziale, sulle condizioni in presenza delle quali l’applicazione di prezzi differenziati a clienti diversi per servizi analoghi possa integrare un abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 102 TFUE. Si tratta di una questione particolarmente rilevante per i settori TLC e media, dal momento che spesso le negoziazioni commerciali portano all’applicazione di prezzi differenziati per servizi identici o analoghi.

La fattispecie esaminata dalla Corte riguardava le diverse condizioni applicate dalla società portoghese di gestione collettiva dei diritti d’autore (GDA) all’operatore di pay TV denunciante e ad una società di pay TV concorrente. Sebbene fosse stata accertata l’applicazione di tariffe diverse tra loro, benché attinenti a un medesimo servizio, l’autorità di concorrenza portoghese aveva escluso la sussistenza di una condotta abusiva poiché, sulla base della struttura dei costi e dei profitti dell’offerta di servizi televisivi, l’applicazione di tariffe differenziate non era stata ritenuta idonea a falsare la concorrenza tra le imprese televisive.

La Corte, in primo luogo, ha evidenziato che l’applicazione di “condizioni dissimili per prestazioni equivalenti” non costituisce di per sé un abuso di posizione dominante ma, per integrare una violazione dell’art. 102 TFUE, richiede la dimostrazione di uno svantaggio competitivo. A tal fine, non è necessario che si sia effettivamente prodotto un pregiudizio sui concorrenti, ma va accertata l’idoneità della condotta discriminatoria a ostacolare la posizione concorrenziale dell’impresa soggetta all’applicazione di prezzi discriminatori (ossia meno favorevoli). In sostanza, non è richiesta l’attualità degli effetti anticoncorrenziali, ma la potenzialità della lesione competitiva derivante dalla condotta discriminatoria.

Al fine di determinare se una discriminazione sui prezzi produca o possa produrre uno svantaggio concorrenziale, la Corte sottolinea l’importanza di effettuare un esame del complesso delle circostanze rilevanti. In particolare, gli elementi indicati a questo riguardo sono la posizione dominante dell’impresa, il potere negoziale sulle tariffe, le condizioni e modalità di applicazione di queste ultime, l’eventuale esistenza di una strategia diretta a eliminare dal mercato a valle una delle controparti commerciali dell’impresa dominante. Questi fattori sono da verificare caso per caso, ma è comunque rilevante l’assenza di alcun automatismo tra l’applicazione di prezzi differenziati per servizi analoghi e la sussistenza di una condotta abusiva.

La Corte ha dunque concluso che, al fine di integrare un abuso di posizione dominante in presenza di prezzi discriminatori, l’accertamento dello svantaggio concorrenziale “non richiede la prova di un deterioramento effettivo e stimabile della posizione concorrenziale, ma deve basarsi su un’analisi del complesso delle circostanze rilevanti del caso di specie, la quale consenta di concludere che detto comportamento ha un’influenza sui costi, sugli utili o su un altro interesse rilevante di una o più di dette controparti, di modo che tale comportamento è in grado di incidere su detta posizione”.

5. SERVIZI IT – GARE PUBBLICHE

Il Tar Lazio respinge un ricorso contro l’aggiudicazione del servizio di aggiornamento della rete inter-polizia in ponti radio, anche sulla base di valutazioni tecniche sulla congruità delle offerte (sentenza Tar Lazio 9148/2018).

Il Tar Lazio, con sentenza 4 settembre 2018, n. 9148, ha respinto il ricorso di TIM contro gli atti della gara del Ministero dell’Interno relativa all’aggiudicazione del servizio di aggiornamento tecnologico e manutenzione della “Rete in Ponte Radio Digitale Interpolizia” nel Centro-Nord Italia. La ricorrente TIM contestava l’aggiudicazione nei confronti di Vitrociset sulla base di molteplici presunte difformità nella valutazione delle offerte rispetto a quanto previsto dal capitolato tecnico, anche alla luce delle risposte fornite dall’Amministrazione ai quesiti dei partecipanti.

In questa pronuncia i giudici hanno esaminato in maniera piuttosto approfondita alcuni aspetti strettamente tecnici relativi al contenuto delle offerte (quali ad esempio le specifiche tecniche utilizzate, le interfacce tecnologiche e i dispositivi per l’aggiornamento dei ponti radio), giungendo infine a ritenere l’offerta vincente di Vitrociset come conforme ai requisiti tecnici del bando e del capitolato.

Di particolare interesse è l’analisi effettuata sull’architettura di rete proposta dall’aggiudicataria, in merito alla quale TIM contestava la violazione del capitolato nella parte in cui richiedeva l’installazione di interfacce per l’instradamento di flussi IP, mentre l’offerta di Vitrociset prevedeva l’utilizzo degli apparati in ponte radio solo per il trasporto di traffico IP e, per la gestione del traffico voce e dati, di “ADM ibridi” che effettuano una gestione sia del traffico TDM che di quello IP.

A tale riguardo, il Tar ha respinto la posizione di TIM evidenziando anche la necessità di un’interpretazione del capitolato che tenesse conto delle sue finalità. Secondo il TAR, “è evidente che il Capitolato doveva essere letto ed interpretato tenendo presente la ratio delle specifiche tecniche e, quindi, le esigenze che esse sottendevano. La specifica tecnica in esame, in particolare, tendeva a garantire il corretto instradamento dei flussi IP nonché di quelli provenienti da vecchi ponti radio immissari di vecchia tecnologia, sicché ogni dispositivo che assicuri tale funzionalità doveva ritenersi consentita dal Capitolato”.

6. MEDIA – TUTELA DEI MINORI

Il Tar Lazio annulla due delibere sanzionatorie dell’Agcom in materia di tutela di minori nelle trasmissioni televisive, e precisa alcuni limiti della normativa applicabile (sentenze Tar Lazio nn. 3391/2018 e 4265/2018).

Il Tar Lazio, con due distinte pronunce di annullamento di delibere sanzionatorie dell’Agcom, ha fornito importanti indicazioni in materia di tutela dei minori nelle trasmissioni televisive. Sebbene le delibere Agcom impugnate siano risalenti al 2008, il contenuto delle sentenze è comunque attuale, poiché riguarda la diffusione di contenuti televisivi che, pur essendo oggetto di trasmissioni giornalistiche, possono nuocere allo sviluppo psico-fisico dei minori.

Sentenza Tar Lazio n. 3391/2018

La sentenza Tar Lazio 27 marzo 2018, n. 3391 ha annullato la Delibera 19/08/CONS con cui Agcom aveva sanzionato Rai per avere diffuso nel corso di un telegiornale serale un servizio nel quale un minore compieva atti efferati (la decapitazione di un prigioniero) durante la guerra in Afghanistan.

A differenza di quanto accertato dall’Agcom, i giudici del Tar – pur avendo riconosciuto che le immagini in questione erano idonee a turbare lo sviluppo psico-fisico dei minori e non erano state trasmesse nella fascia tra le 22.30 e le 7.00 – hanno comunque escluso la sussistenza di una condotta illecita da parte di Rai. Secondo la sentenza, elementi decisivi in tal senso sono rappresentati, da un lato, dal preventivo annuncio da parte del giornalista che le immagini in procinto di essere trasmesse erano inadatte ad un pubblico di minori e, dall’altro, dal fatto che la diffusione del video era finalizzata a segnalare l’escalation della propaganda terroristica anche denunciando la problematica dei c.d. “bambini soldato”. Da questo punto di vista, secondo il Tar, ha assunto specifico rilievo anche il fatto che il filmato in questione sia stato “mandato in onda durante il TG delle 20.00, cioè in un programma specificatamente destinato all’informazione del pubblico adulto sui fatti di cronaca, anche particolarmente sanguinari o impressionanti”.

Il Giudice ha escluso altresì una lesione in concreto dei diritti della personalità del bambino protagonista del filmato (anche sotto il profilo della tutela dei dati personali), in quanto non identificato né identificabile nel territorio italiano.

Sentenza Tar Lazio n. 4265/2018

La sentenza Tar Lazio 18 aprile 2018, n. 4265, invece, ha ad oggetto una delibera sanzionatoria con cui l’Agcom aveva ritenuto in contrasto con il Codice di Autoregolamentazione Minori e TV un programma di approfondimento giornalistico trasmesso dalla Rai in fascia serale avente ad oggetto la trattazione di tematiche sulla sessualità e sulle violenze.
 
Il Tar ha annullato la delibera Agcom ritenendola viziata sotto il profilo della carenza motivazionale e istruttoria, a causa dell’omesso svolgimento degli approfondimenti che avrebbero potuto chiarire le ragioni per le quali la trasmissione, nonostante trattasse tematiche di attualità, potesse considerarsi idonea a danneggiare lo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori. In particolare, secondo il Tar, l’Agcom avrebbe dovuto acquisire ulteriore documentazione e pareri da parte di esperti del settore (come peraltro richiesto dalla Rai nel corso del procedimento) che le avrebbero consentito di approfondire, ed eventualmente esplicitare in maniera adeguata, le ragioni della ritenuta lesività, in concreto, delle immagini trasmesse dalla trasmissione sanzionata. Secondo il Tar, “la richiesta del parere di uno o più esperti avrebbe maggiormente corroborato la motivazione del provvedimento, dalla cui lettura […] si evince l’apoditticità della stessa”.

La sentenza in esame, inoltre, ha accertato l’erroneità della delibera Agcom anche sotto il profilo dell’asserita violazione dell’obbligo di segnalazione iconografica (attraverso appositi bollini colorati) previsto per i programmi non adatti ai minori. A questo proposito, il Tar Lazio ha sottolineato che tale obbligo (disciplinato, ratione temporis, dal Codice di Autoregolamentazione Minori e TV) non fosse applicabile nel caso di specie, dal momento che la trasmissione in questione rientrava tra i “programmi di informazione”, per i quali non vi è uno specifico obbligo di segnalazione iconografica bensì l’impegno delle emittenti a non trasmettere sequenze che possano creare turbamento o nuocere all’integrità psichica o morale dei minori. Sotto questo profilo, come già nella sentenza Tar Lazio n. 4265/2018, i giudici amministrativi sottolineano l’importanza di fornire un preventivo avviso sull’imminente trasmissione di immagini non adatte a minori, e aggiungono al riguardo che “non esistono, del resto, formule codificate o “legificate” con le quali il conduttore deve dare l’avviso, per cui deve ritenersi che l’avvertimento effettuato, nel caso di specie, all’inizio della trasmissione, per le sue caratteristiche, fosse ben decodificabile da un pubblico adulto”.

7. ANTITRUST – BIG DATA

La Commissione Europea autorizza senza condizioni l’acquisizione di Shazam da parte di Apple (decisione Commissione Europea 6 settembre 2018).

Lo scorso 6 settembre 2018, la Commissione Europea ha comunicato l’autorizzazione senza condizioni dell’acquisizione da parte di Apple di Shazam, la nota app mobile di riconoscimento di brani musicali. Si tratta di una decisione particolarmente attesa, dal momento che questa concentrazione era focalizzata non tanto sugli aspetti più “tradizionali” dell’analisi antitrust, quanto piuttosto sulla rilevanza concorrenziale dei big data. Nell’operazione Apple/Shazam, infatti, l’interesse concorrenziale della società acquirente non era diretto alla capacità economica della target (relativamente limitata e con un livello di profitti estremamente ridotto), quanto piuttosto all’abilità di Shazam di acquisire dai propri utenti un’enorme quantità di dati e informazioni dall’elevato valore strategico per un settore come quello musicale, soprattutto rispetto all’attività delle grandi piattaforme di streaming musicale. Nell’analisi dei big data a livello antitrust, infatti, l’elemento cruciale non è rappresentato dalle dimensioni economiche di un’impresa ma dal suo patrimonio di dati e informazioni strategiche relative ai comportamenti dei consumatori, da utilizzare in maniera strategica per rendere più efficaci (e profittevoli) le vendite in altri mercati.

L’analisi concorrenziale della Commissione si è quindi focalizzata sull’integrazione tra il servizio di streaming musicale di Apple (il secondo più diffuso al mondo, dopo Spotify) e il servizio di riconoscimento musicale tramite app mobile di Shazam. Al termine di un’ampia indagine che ha coinvolto gli altri principali player del settore musicale, la Commissione ha escluso che, attraverso il controllo delle informazioni e dei dati acquisiti da Shazam dai propri utenti, Apple sarebbe in grado di pregiudicare la concorrenza delle altre piattaforme di streaming musicale, anche nel caso in cui fosse eliminato il rinvio verso piattaforme concorrenti dell’ascolto del brano musicale riconosciuto da Shazam.

In particolare, la Commissione ha rilevato che un’eventuale restrizione nell’accesso da Shazam ad altre piattaforme di streaming musicale non avrebbe effetti competitivi significativi, anche perché la possibilità di disporre dei dati degli utenti di Shazam che utilizzano piattaforme di streaming musicale diverse da quella di Apple non è stato ritenuto un elemento concorrenziale cruciale, anche in considerazione del fatto che Shazam costituisce un punto di accesso marginale verso tali piattaforme di streaming. Inoltre, l’acquisizione dei database di Shazam e la loro integrazione con i database di Apple non consentirebbe alla stessa Apple di acquisire un vantaggio non replicabile dai propri concorrenti, dal momento che database simili a quelli di Shazam restano disponibili sul mercato.

La decisione completa (in versione non confidenziale) relativa a questa concentrazione dovrebbe essere pubblicata nelle prossime settimane e, vista la novità delle questioni, non sono da escludersi ricorsi alla Corte di Giustizia da parte dei concorrenti di Apple.

8. AGCOM – PROCEDIMENTI SANZIONATORI

Il Tar Lazio annulla una delibera sanzionatoria dell’Agcom per violazione dei termini di apertura del procedimento e di durata massima del procedimento (sentenza Tar Lazio n. 3948/2018).

La sentenza Tar Lazio 10 aprile 2018, n. 3948, in accoglimento del ricorso presentato da TIM, ha annullato la Delibera Agcom 633/07/CONS, che aveva sanzionato l’operatore in merito al mancato rispetto di alcuni obiettivi di qualità del servizio universale. Tale delibera è stata ritenuta illegittima per violazione dei termini relativi sia alla contestazione dell’infrazione e apertura del procedimento, sia alla notifica del provvedimento sanzionatorio.

In particolare, ai sensi del regolamento Agcom sullo svolgimento dei procedimenti sanzionatori (sia nella previgente Delibera Agcom 136/06/CONS che nell’attuale Delibera 410/14/CONS), l’atto di contestazione della presunta violazione deve essere notificato nel termine di 90 giorni dal completamento delle attività pre-istruttorie di accertamento della violazione e, inoltre, l’eventuale provvedimento sanzionatorio deve essere notificato entro il termine di 150 giorni dall’atto di contestazione.

Nel procedimento in questione, l’Agcom aveva effettuato attività pre-istruttorie di verifica fino a gennaio 2007, mentre l’atto di contestazione era stato notificato in data 18 luglio 2007, quindi oltre il suddetto termine di 90 giorni. Tradizionalmente, la giurisprudenza ha ritenuto che il termine di contestazione dell’infrazione e apertura del procedimento sanzionatorio debba decorrere dalla completa conclusione delle attività di accertamento dell’Amministrazione e, quindi, il suddetto termine di 90 giorni viene applicato in maniera abbastanza flessibile (ex multis, sentenza Tar Lazio n. 11748/2017). Nel giudizio in esame, invece, il Tar ha adottato una posizione più rigorosa, facendo discendere il superamento del termine di avvio del procedimento dal fatto che l’ultimo atto formale di accertamento pre-istruttorio fosse stato anteriore al suddetto termine di 90 giorni.

In secondo luogo, il Tar Lazio ha ritenuto violato anche il termine di 150 giorni per la conclusione del procedimento, in quanto il provvedimento sanzionatorio, pur essendo stato adottato dal Consiglio prima di tale termine, era stato tuttavia notificato dopo il suddetto termine.

Il Tar ha quindi sottolineato che, trattandosi di un atto recettizio sanzionatorio, la mancata formale notificazione dell’ingiunzione nel termine perentorio di 150 giorni determina la decadenza dell’Agcom dall’esercizio del potere sanzionatorio.

Nel caso di specie, dunque, il Tar ha adottato un’interpretazione delle suddette norme procedurali particolarmente rigorosa, sottolineando che “tali termini – in quanto riferiti allo svolgimento di procedure sanzionatorie – devono considerarsi perentori, posto che, altrimenti, il privato si troverebbe esposto ad un potere sanzionatorio sine die, in contrasto con i principi di buon andamento dell’adozione amministrativa e di affidamento”. Appare evidente che le conclusioni a cui è giunto il giudice amministrativo, soprattutto con riferimento al termine di avvio del procedimento sanzionatorio, sono suscettibili di un’ampia applicazione. Sarà quindi importante verificare se tale posizione troverà un seguito in altre sentenze.

9. TLC – INFRASTRUTTURE

Il Tar Lazio statuisce l’obbligo da parte dei Comuni di pronunciarsi anche sulla possibilità di autorizzare l’installazione di impianti in deroga ai limiti di localizzazione (sentenza Tar Lazio n. 6568/2018).

Il Tar Lazio, con sentenza 12 giugno 2018, n. 6568, si è pronunciato su una questione che sempre più frequentemente si pone nei rapporti tra operatori di rete e amministrazioni comunali, ossia la possibilità di concedere autorizzazioni in deroga rispetto ai limiti di localizzazione stabiliti dai regolamenti comunali.

In particolare, il Tar ha annullato il diniego all’installazione di un impianto in un contesto nel quale il Comune, se da un lato aveva richiamato il divieto di localizzazione degli impianti in determinate aree previsto dal proprio regolamento, dall’altro aveva omesso qualsiasi valutazione sulla possibilità di concedere una deroga, ipotesi che era invece prevista dallo stesso regolamento comunale. A questo proposito, il Giudice sottolinea quindi come la valutazione sulla possibile concessione di una deroga costituisce uno specifico obbligo a carico del Comune, in assenza del quale il diniego all’installazione è da ritenersi illegittimo. Peraltro, tale obbligo sussiste anche qualora, come nel caso di specie, l’operatore non aveva espressamente formulato un’istanza in deroga.

Secondo il TAR, dunque, “la possibilità di deroga prevista per il singolo impianto deve essere interpretata come un onere di valutazione a carico del Comune nel caso di presentazione di istanza per un impianto al di fuori dei siti indicati dal Regolamento. Non può, infatti, essere condivisa la posizione espressa dal Comune nel provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, per cui non è stata avanzata alcuna richiesta di deroga, dovendo ritenersi implicita tale richiesta nella domanda relativa ad una autorizzazione per la installazione in un sito ulteriore rispetto agli otto indicati nel Regolamento”.

Tale posizione è giustificata dal Giudice amministrativa anche alla luce della costante giurisprudenza secondo cui la competenza dei Comuni ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici non può tradursi in una limitazione generalizzata alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale in assenza di una plausibile giustificazione (ex multis, sentenza Cons. St. 1361/2014).

10. TLC – CONTROVERSIE TRA OPERATORI E UTENTI

La Cassazione stabilisce che il tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie tra operatori TLC e utenti riguarda anche le azioni di risarcimento proposte dagli utenti (Corte Cass., ordinanza n. 4575/2018).

Con ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4575, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato da TIM contro una società che aveva agito in giudizio nei confronti della stessa TIM e di Wind per ottenere la risoluzione per inadempimento di un contratto di servizi di telefonia, gli indennizzi contrattuali e il risarcimento dei danni subiti a causa della temporanea sospensione del servizio.

Nella sentenza impugnata, la Corte di Appello di Milano aveva dichiarato improcedibile la domanda di indennizzo ma condannato gli operatori al pagamento del risarcimento del danno (pari a Euro 20.000), sul presupposto che il preventivo tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 1, comma 11, Legge 249/1997 (non esperito dalla società attrice) costituiva condizione di procedibilità per la sola richiesta degli indennizzi, ma non anche del risarcimento del danno.

La Corte di Cassazione ha considerato erronea tale conclusione del giudice d’appello, statuendo invece che, nelle controversie tra utenti e operatori, il preventivo tentativo di conciliazione è da considerarsi obbligatorio anche per le richieste di risarcimento del danno, e non solo per quelle relative agli indennizzi contrattuali. Nella sentenza in esame, viene sottolineato come l’art. 1, comma 11, Legge 249/1997 prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione per tutte le “controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato”, senza alcuna limitazione al riguardo. Da questo punto di vista, neanche l’insussistenza della competenza dei Co.re.com. a pronunciarsi sul maggior danno (oltre agli indennizzi contrattuali) può incidere sull’estensione dell’ambito di applicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione.

D’altra parte, secondo la Cassazione, un’eventuale esclusione del tentativo obbligatorio di conciliazione per le richieste risarcitorie “finirebbe per vanificare la stessa ratio della previsione di un tentativo di conciliazione obbligatorio, dal momento che nella materia in esame il risarcimento è generalmente l’oggetto principale delle domande che vengono proposte dagli utenti, e a volte l’unico”.