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Indice

  1. Merger control nel settore dei pagamenti
  2. Quantificazione del danno in caso di abusi escludenti o di discriminazione
  3. L’AGCM esamina ex-post le concentrazioni sotto-soglia come abuso di posizione dominante
  4. Vendite on-line di prodotti a marchio Apple/Beats: tutela della concorrenza nel marketplace Amazon.com
  5. I servizi di cloud computing di Google, Apple e Dropbox sotto esame dell’AGCM

1. Merger control nel settore dei pagamenti

Nel corso degli ultimi anni si è verificata un’ondata di consolidamento nel settore dei pagamenti[1]. Questo trend è continuato nel 2020, in una serie di casi[2] nei quali la Commissione europea (“Commissione”) ha, da un lato, individuato nuovi mercati/segmenti tecnologicamente avanzati o livelli delle value chain e, dall’altro, si è spinta a prospettare la dimensione europea (i.e. a livello del SEE) di alcuni di questi mercati.

Nel caso Nexi/Intesa Sanpaolo (Merchant Acquiring Business), la Commissione ha autorizzato l’acquisizione da parte di Nexi, un gruppo attivo in Italia principalmente nel settore dei sistemi di pagamento tramite carta, del controllo esclusivo del ramo d’azienda merchant acquiring di Intesa Sanpaolo; ciò, in seguito all’acquisizione del business di acquiring processing avvenuta nel 2016[3]. La Commissione ha valutato le attività delle parti nel mercato del merchant acquiring (sia overlap orizzontale che relazione verticale), acquiring processing e fornitura di terminali POS (solo relazioni verticali).

Per quanto riguarda il mercato del merchant acquiring, per la prima volta la Commissione ha constatato che i servizi di merchant acquiring a livello retail destinati agli esercenti costituiscono – almeno in Italia – un mercato distinto da quello dell’acquiring a livello wholesale destinato alle banche (in cui le banche stesse hanno piena libertà di fissare il prezzo finale e le condizioni dei servizi per gli esercenti). In effetti, l’indagine di mercato della Commissione ha fornito prove sufficienti per concludere che, nel contesto italiano, la definizione di un mercato del prodotto distinto per l’attività di merchant acquiring a livello wholesale è appropriata: la maggior parte dei merchant acquirer ha sostenuto che il merchant acquiring a livello wholesale è un vero e proprio mercato distinto, in cui la banca cliente mantiene la libertà in termini di prezzi, e che in Italia vi sono operatori attivi solo nel merchant acquiring a livello wholesale.

Inoltre, sebbene in ultima analisi la Commissione abbia lasciato aperta la questione se la definizione di mercato geografico appropriata sia a livello del SEE o nazionale, la stessa ha constatato, almeno per quanto il merchant acquiring a livello wholesale, che il mercato mostra una tendenza verso una dimensione europea. Invero, proprio come a livello retail, anche la maggior parte dei clienti di merchant acquiring a livello wholesale ha indicato, nell’ambito del market test della Commissione, che non vi sono ostacoli significativi a reperire questi servizi all’estero e che il convenzionamento degli esercenti del circuito nazionale PagoBancomat è effettuato in-house.

Nel caso Mastercard/Nets, la Commissione ha approvato a determinate condizioni l’acquisizione da parte di Mastercard dell’attività di pagamento account-to-account (“A2A”) di Nets e ha individuato i seguenti nuovi mercati rilevanti: il mercato dei servizi di pagamento A2A, il mercato della fornitura di servizi infrastrutturali di base A2A (“A2A CIS”) come soluzione software, e il mercato di A2A CIS come soluzione gestita che comprende l’A2A CIS (compresi software, hardware, reti di telecomunicazione e processi), nonché la gestione e il funzionamento dell’infrastruttura. In particolare, i servizi di pagamento di A2A sono servizi/applicazioni dedicati all’utente finale per consentire i pagamenti ricorrenti e il trasferimento di fondi da un conto bancario all’altro. Le soluzioni A2A CIS consentono di elaborare i pagamenti, anche in tempo reale, direttamente dal conto corrente del pagatore al conto del beneficiario.

È interessante notare che, nell’escludere criticità relative alla sovrapposizione dei servizi di pagamento di A2A, la Commissione ha tenuto conto, inter alia, del fatto che le attuali soluzioni di Nets dovrebbero perdere rilevanza a prescindere dall’operazione, in quanto saranno presto sostituite da soluzioni più economiche e innovative. La Commissione ha inoltre rilevato che, mentre il mercato della fornitura di servizi software di A2A CIS è generalmente competitivo, la combinazione delle attività delle parti sul mercato dei A2A CIS come servizi gestiti avrebbe alterato la concorrenza, perché le parti sono in diretta concorrenza e si trovano a competere con un numero limitato di plausibili concorrenti. La decisione di clearance dell’operazione è pertanto stata subordinata al trasferimento a un acquirente idoneo di una licenza della tecnologia “Realtime 24/7” di Nets per A2A CIS, con la quale l’attività oggetto dell’operazione è in concorrenza nelle gare d’appalto per A2A CIS, nonché del personale e degli altri servizi e beni pertinenti.

La Commissione ha altresì autorizzato l’operazione Worldline/Ingenico condizionandola al rispetto di un pacchetto di impegni proposti dalle parti. Worldline è uno dei maggiori provider di servizi di pagamento a livello europeo, attivo lungo tutta la catena del valore dei pagamenti anche attraverso equens e SIX Payment Services, che ha acquisito, rispettivamente, nel 2016 e nel 2018. Ingenico è un produttore e fornitore leader di terminali POS e un fornitore di servizi relativi ai pagamenti (ad esempio, merchant acquiring e soluzioni di accettazione dei pagamenti in negozio e online). L’indagine della Commissione ha sollevato problematiche concorrenziali nei mercati dei servizi di POS merchant acquiring e fornitura e gestione di terminali POS in Belgio, Lussemburgo e Austria. Per ovviare a tali preoccupazioni concorrenziali, gli impegni proposti dalle parti contemplano la cessione delle attività di POS merchant acquiring e fornitura e gestione di terminali POS di Ingenico in Austria e Belgio e di una parte delle attività di merchant acquiring di Worldline in Lussemburgo.

L’ondata di consolidamento evidenzia una duplice tendenza nel settore europeo dei pagamenti. Da un lato, molti istituti finanziari hanno deciso di cedere le loro attività di pagamento in quanto le stesse richiedono ingenti investimenti per essere all’avanguardia della frontiera tecnologica (ad esempio, accesso ai pagamenti e al regolamento in tempo reale, analisi avanzate, prevenzione delle frodi), che possono essere redditizie solo in presenza di economie di scala. D’altra parte, i clienti sembrano orientati verso soluzioni di pagamento sempre più sofisticate e personalizzate (ad esempio, e-commerce, soluzioni omni-canale)[4]. Con la creazione della SEPA e l’introduzione di regolamentazione pan-europea, come il regolamento sulle commissioni interbancarie e la direttiva sui servizi di pagamento[5], è probabile che operazioni di concentrazione di natura transfrontaliera risultino facilitate.

2. Quantificazione del danno in caso di abusi escludenti o di discriminazione

Con sentenza n. 7678 del 3 aprile 2020, la Corte Suprema di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1/2017 (depositata in data 2 gennaio 2017), che ha riconosciuto a Brennercom S.p.A. (“Brennercom”) un risarcimento del danno da margin squeeze di Euro 516.042, in ragione delle condotte abusive poste in essere da Telecom Italia S.p.A. (“Telecom Italia”), accertate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o “Autorità”) nell’ambito del procedimento per abuso di posizione dominante A/357.

I fatti

Il 3 agosto 2007, l’AGCM ha accertato un abuso di posizione dominante a carico di Telecom Italia nel mercato all’ingrosso dei servizi di terminazione delle chiamate fisso-mobile sulla propria rete.

Più nel dettaglio, nel periodo 1999-2005, Telecom Italia ha applicato alle proprie divisioni commerciali condizioni tecniche/economiche più favorevoli rispetto a quelle praticate ai concorrenti, attraverso: (i) l’offerta di servizi di fonia fisso-mobile che prevedevano soluzioni tecniche alternative per trasformare il traffico fisso-mobile nel meno costoso mobile-mobile (on net); (ii) l’offerta di contratti di carrier selection (clientela aziendale, grande clientela affari) che garantivano forti sconti sulla direttrice fisso-mobile.

Di conseguenza, i prezzi praticati alla clientela business dalle divisioni di Telecom Italia sono state inferiori ai costi di terminazione che un operatore concorrente sopportava per offrire lo stesso servizio.

Sulla base dei fatti accertati dall’Autorità, Brennercom – concorrente di Telecom Italia nelle offerte di traffico fisso-mobile a clientela business – ha convenuto la stessa, nel marzo 2010, dinanzi al Tribunale di Milano, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in ragione della perdita di clientela determinata dalla condotta abusiva.

Il Tribunale di Milano ha condannato Telecom Italia a risarcire a Brennercom la somma di Euro 433.000, non in ragione di uno sviamento di clientela – indimostrato – ma per la compressione dei profitti (“margin squeeze”) sopportata: la discriminazione dei costi di terminazione all’ingrosso attuata da Telecom Italia a vantaggio delle proprie divisioni aveva costretto Brennercom ad operare sul mercato a valle a prezzi particolarmente bassi per poter sopravvivere alla concorrenza delle divisioni di Telecom Italia, nonostante i costi più elevati sopportati rispetto a queste ultime.

La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale, aumentando la quantificazione del danno da margin squeeze a Euro 516.042.

Telecom Italia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando – in sintesi – l’assenza di nesso causale tra il danno riconosciuto a Brennercom e la propria condotta abusiva, nonché l’erronea quantificazione di tale danno[6]. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e confermato la sentenza della Corte di Appello.

La sentenza della Corte di Cassazione: danno da margin squeeze v. danno da overcharge

Punto di maggior interesse della sentenza della Corte di Cassazione è la ricostruzione delle differenze, in termini di accertamento e quantificazione, tra il danno da overcharge (sovraprezzo) e il danno da margin squeeze.

Il primo, tipicamente oggetto delle richieste risarcitorie delle vittime di un cartello, consiste nella differenza tra il prezzo corrisposto per un prodotto/servizio oggetto di cartello e il prezzo (più basso) che sarebbe stato pagato per lo stesso prodotto o servizio in mancanza dell’illecito concorrenziale, accertato su base controfattuale.

Ovviamente, la vittima di un danno da overcharge in un mercato intermedio perde il diritto al risarcimento, qualora sia dimostrato che la stessa è riuscita a trasferire il sovraprezzo sui clienti finali.

Nel caso di specie, riconoscere il danno da sovraprezzo avrebbe implicato risarcire a Brennercom la differenza tra il prezzo pagato a Telecom Italia per il servizio di terminazione delle chiamate fisso-mobile e il miglior prezzo praticato da Telecom alle proprie divisioni.

Ciò avrebbe incontrato tuttavia un duplice ostacolo: da un lato, la difficoltà di quantificare – in sede civile – il prezzo praticato da Telecom alle proprie divisioni; d’altro lato, appariva verosimile che Brennercom avesse traslato il sovraprezzo sui consumatori finali, senza con ciò subire una contrazione della clientela.

La Corte di Cassazione ha dunque riconosciuto che, in presenza di una pratica discriminatoria o di un abuso escludente – e non di un’intesa restrittiva della concorrenza – è “preferibile” quantificare il danno subito dalle vittime dell’illecito secondo il criterio del margin squeeze, costruendo lo scenario controfattuale sulla base dei prezzi (più alti) che l’acquirente dell’impresa dominante avrebbe potuto praticare nel mercato a valle in mancanza della condotta discriminatoria e, quindi, dei più consistenti margini di profitto che avrebbe potuto conseguire.

A tal fine, nel caso di specie, è stato stimato di quanto Brennercom avrebbe incrementato i prezzi al dettaglio delle offerte di traffico fisso-mobile se non fosse stata costretta a competere con le tariffe particolarmente vantaggiose proposte dalle divisioni di Telecom Italia, per prevenire una contrazione delle vendite.

In particolare, è stato stimato in sede di CTU che, a fronte di un aumento dei prezzi al dettaglio da parte di Telecom Italia, dovuto a un aumento dei costi interni, Brennercom avrebbe aumentato i propri prezzi finali non per l’intero incremento di Telecom Italia, ma per il 14,3% dello stesso.

Con l’incremento delle azioni risarcimento follow-on che si è registrato in Italia negli ultimi anni – anche a seguito dell’implementazione della Direttiva 2014/104/UE – la sentenza della Corte di Cassazione segna un’importante novità sul tema della quantificazione del danno, soprattutto laddove i criteri identificati dalla Suprema Corte venissero impiegati in tutti i casi di abusi escludenti, e non solo nei casi di margin squeeze.

3. L’AGCM esamina ex-post le concentrazioni sotto-soglia come abuso di posizione dominante

Con provvedimento del settembre 2019, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o “Autorità”) ha deciso di esaminare, ai sensi dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”), una serie di operazioni sotto-soglia concluse da TicketOne.

Nel settembre 2018, l’AGCM ha avviato un’istruttoria ai sensi dell’art. 102 del TFUE nei confronti di TicketOne e della sua controllante tedesca, volta ad indagare presunte condotte abusive relative ai servizi di ticketing per eventi di musica live[7]. Secondo l’Autorità, TicketOne deterrebbe una posizione dominante nel mercato italiano dei servizi di pre-vendita di biglietti per concerti pop e rock e, a partire dal 2013, avrebbe cercato di rafforzare la sua posizione sul mercato attraverso condotte escludenti, volte a precludere alle piattaforme concorrenti la possibilità di concludere accordi con i principali promoter di eventi[8]. Tali condotte sarebbero consistite, in particolare, nella stipula di contratti di esclusiva con i più importanti promoter di eventi di musica live attivi in Italia, contenenti previsioni in forza delle quali TicketOne acquisiva il diritto di distribuire in esclusiva la totalità o gran parte dei biglietti di accesso ai concerti organizzati da tali promoter. I contratti prevedevano inoltre l’esclusiva pressoché assoluta di TicketOne sul canale distributivo online.

Nel settembre 2019, l’AGCM ha esteso l’istruttoria, decidendo di esaminare anche le operazioni di acquisizione di alcuni promoter[9]. In particolare, TicketOne aveva acquisito, tra il 2017 ed il 2018, quattro società attive in Italia come promoter di eventi; tali operazioni, in quanto sotto-soglia, non erano state notificate all’AGCM[10].

Dette acquisizioni, secondo l’Autorità, avrebbero consentito a TicketOne di integrarsi verticalmente, raggiungendo anche il mercato della produzione di eventi live. Ad oggi, quindi, TicketOne potrebbe garantirsi l’esclusiva su un’elevata quota di biglietti non solo grazie ai contratti stipulati con numerosi promoter, ma anche attraverso una significativa presenza acquisita direttamente nel mercato a monte della produzione di eventi live. In altre parole, secondo l’AGCM, queste acquisizioni sarebbero state realizzate al fine di sottrarre alle piattaforme concorrenti, in modo stabile e duraturo, un elevato volume di biglietti per eventi e costituirebbero, in ultima analisi, parte integrante della complessiva strategia escludente posta in essere da TicketOne.

Il caso TicketOne si inserisce nel dibattito sull’esame delle operazioni di concentrazione sotto-soglia. Come noto, in Italia, a partire dal 1° gennaio 2013, le soglie per la notifica delle concentrazioni sono passate da alternative a cumulative[11], con un notevole aumento delle operazioni sotto-soglia.

Negli ultimi anni, il dibattito in merito alla possibilità di una revisione ex-post delle operazioni di concentrazione sotto-soglia ha riguardato in particolare il settore digitale, a livello UE[12] e nazionale[13].

Il caso TicketOne rileva in quanto l’AGCM ha inteso applicare la disciplina sull’abuso di posizione dominante alle acquisizioni sotto-soglia. Sebbene le acquisizioni oggetto di istruttoria siano considerate rientrare in una più ampia strategia escludente dell’operatore dominante, si tratta di uno dei rari casi in cui un’autorità di concorrenza esamina operazioni di concentrazione sotto-soglia alla luce della normativa sull’abuso di posizione dominante[14].

4. Vendite on-line di prodotti a marchio Apple/Beats: tutela della concorrenza nel marketplace Amazon.com

Lo scorso 14 luglio 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o “Autorità”) ha avviato un’istruttoria nei confronti di alcune società dei gruppi Apple Inc. (“Apple”) e Amazon.com Inc. (“Amazon”) per accertare la pretesa esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) nei mercati nazionali della vendita al dettaglio di prodotti di elettronica su internet e dei servizi di intermediazione per la vendita su marketplace[15].

Apple e Amazon sono concorrenti nella vendita al dettaglio di prodotti di elettronica on-line. Infatti, entrambi i gruppi vendono on-line i prodotti a marchio “Apple” e “Beats”. Inoltre, Amazon produce (e commercializza on-line) anche alcuni apparecchi (quali tablet e dispositivi audio-video) in concorrenza con Apple.

La condotta oggetto di istruttoria consiste in un presunto accordo tra Apple e Amazon in virtù del quale la vendita dei prodotti a marchio “Apple” e “Beats”, sulla piattaforma di vendite on-line gestita da Amazon, verrebbe affidata in esclusiva alla stessa Amazon e agli altri rivenditori autorizzati aderenti ai programmi di distribuzione ufficiale Apple, con esclusione – dall’accesso al marketplace di Amazon – di tutti i restanti rivenditori di prodotti a marchio “Apple” e “Beats”, non appartenenti alla rete ufficiale di distributori autorizzati Apple, ma comunque legittimati a svolgere l’attività di rivendita di siffatti prodotti.

L’AGCM, nel provvedimento di avvio dell’istruttoria, ha ipotizzato che una tale condotta potrebbe creare, a danno dei rivenditori non ufficiali (i.e., concorrenti di Amazon e dei rivenditori ufficiali Apple, in genere piccole e medie imprese) una significativa barriera all’ingresso dei servizi di intermediazione per la vendita on-line erogati da Amazon, vale a dire il primario operatore nel settore in Italia.

La presunta intesa avrebbe quale effetto una diminuzione dell’offerta on-line dei prodotti elettronici, nonché una riduzione degli incentivi a competere efficacemente sul prezzo dei prodotti a marchio “Apple” e “Beats”.

L’intesa nel mirino dell’Autorità non sembrerebbe prima facie supportata da giustificazioni oggettive, dal momento che – nei contratti di distribuzione di Apple con i propri rivenditori ufficiali – non sembrerebbe applicabile la disciplina in tema di distribuzione selettiva che potrebbe legittimare la preclusione al servizio marketplace di Amazon per i rivenditori non ufficiali.

Le istruttorie avviate dall’AGCM si inseriscono in una generale attenzione posta dalle autorità di concorrenza nei confronti della politica commerciale di Amazon. Tra le altre, dal luglio 2019 la Commissione europea (“Commissione”) sta indagando se Amazon abbia usato a proprio vantaggio i dati sensibili degli esercenti terzi che vendono attraverso il suo marketplace, in considerazione del duplice ruolo che il colosso ricopre, come gestore della piattaforma, da un alto, e retailer concorrente degli esercenti terzi, dall’altro[16]. Contestualmente all’apertura dell’istruttoria della Commissione, le autorità antitrust tedesca e austriaca hanno archiviato due istruttorie avviate nei confronti di Amazon dopo che l’azienda si è impegnata a modificare i termini e le condizioni applicate ai retailer che operano sulla piattaforma. Le contestazioni riguardavano – inter alia – chiusure e sospensioni ingiustificate di account di accesso alla piattaforma, limitazioni nelle comunicazioni in caso di malfunzionamenti, intenzionali prolungamenti dei tempi di consegna dei prodotti e mancanza di trasparenza circa le classifiche dei prodotti in vendita sulla piattaforma. Ancora pendente, invece, è l’istruttoria dell’AGCM nei confronti di Amazon per un presunto abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi d’intermediazione su marketplace al fine di restringere significativamente la concorrenza nel mercato dei servizi di logistica per e-commerce, in quanto Amazon conferirebbe unicamente ai venditori terzi che aderiscono al servizio di logistica offerto dalla società stessa (e non anche ai non aderenti) vantaggi in termini di visibilità della propria offerta e di miglioramento delle proprie vendite sulla piattaforma[17].

L’Unione europea sta lavorando al c.d. Digital Services Act, un nuovo quadro normativo per il futuro panorama digitale (ivi comprese le piattaforme on-line), che inter alia si prefigge di facilitare l’ingresso delle piccole e medie imprese sul mercato, affrontando l’attuale situazione in cui i grandi player del settore digitale sembrerebbero sempre più atteggiarsi come filtro di accesso al mercato stesso.

5. I servizi di cloud computing di Google, Apple e Dropbox sotto esame dell’AGCM

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o “Autorità”) ha recentemente avviato distinte istruttorie[18] nei confronti di Google (per il servizio Google Drive), Apple (per il servizio iCloud) e Dropbox (per il servizio Dropbox) volte ad esaminare la compatibilità di alcune condotte poste in essere nella fornitura di servizi di cloud computing con la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette e clausole vessatorie[19].

L’Autorità contesta a Google e ad Apple la mancata o non adeguata comunicazione ai consumatori, in sede di presentazione dei servizi, delle modalità di raccolta e utilizzo a fini commerciali dei dati da questi forniti. Inoltre, secondo l’Autorità, i consumatori sarebbero indebitamente condizionati ad esprimere il consenso alla raccolta e all’utilizzo a fini commerciali delle informazioni che li riguardano per poter utilizzare il servizio di cloud storage. Le stesse contestazioni vengono sollevate dall’AGCM anche nei confronti di Dropbox, cui viene imputato ― in aggiunta ― di aver omesso di fornire in maniera chiara e immediata le informazioni relative alle modalità e alla procedura da utilizzare per recedere dal contratto. È inoltre contestato, sempre a Dropbox, di non consentire all’utente l’agevole ricorso a meccanismi extra-giudiziali di conciliazione delle controversie[20].

I procedimenti per clausole vessatorie riguardano, invece, alcune previsioni contrattuali contenute nelle condizioni generali di contratto predisposte dagli operatori.

In particolare, secondo l’AGCM, le condizioni contrattuali previste da Google e da Apple sarebbero vessatorie nei confronti dei consumatori in quanto prevedrebbero: (i) la facoltà degli operatori di sospendere e/o interrompere il servizio, esercitata nel caso di Google attraverso una comunicazione di interruzione non soggetta ad un termine di preavviso certo[21]; (ii) sempre nel caso di Google, l’esonero di responsabilità per la perdita dei dati e dei documenti conservati sullo spazio cloud dell’utente e, nel caso di Apple, l’esonero di responsabilità per qualsiasi perdita subita dal consumatore[22];(iii) la facoltà per gli operatori di modificare unilateralmente alcune specifiche condizioni contrattuali[23].

Simili contestazioni vengono sollevate dall’AGCM anche nei confronti di Dropbox, cui si imputa – in aggiunta – di aver previsto che, in caso di controversie tra l’operatore ed i consumatori, sia la versione in lingua inglese del contratto a fare fede rispetto alla traduzione in italiano[24].

I procedimenti in questione si inseriscono nel quadro di una serie di interventi dell’AGCM nel settore dei mercati digitali con particolare riferimento a pratiche scorrette nell’uso di dati degli utenti. Nel 2017, l’AGCM ha infatti sanzionato WhatsApp per aver indotto gli utenti di WhatsApp Messenger ad accettare integralmente i nuovi Termini di Utilizzo, in particolare la condivisione dei propri dati con Facebook, facendo loro credere che sarebbe stato, altrimenti, impossibile proseguire nell’uso dell’applicazione. Coloro che erano già utenti alla data della modifica dei termini avevano, invece, la possibilità di accettarne “parzialmente” i contenuti, potendo decidere di non fornire l’assenso a condividere le informazioni del proprio account WhatsApp con Facebook e continuare, comunque, a utilizzare l’app[25].

Il recente intervento nei confronti di Google, Apple e Dropbox conferma una particolare attenzione dell’Autorità a garantire l’uso non distorto dei Big Data da parte dei player del mercato digitale[26].


[1] Esempi in tal senso sono i casi della Commissione Europea M.9387 – Allied Irish Banks/First Data Corporation/Semeral, del 23 ottobre 2019; M.9452 – Global Payments/TSYS; M.9357 – FIS/WorldPay, del 16 settembre 2019; M.9366 – BPCE/Auchan/Oney Bank, del 26 luglio 2019; M.8901 – HSBC/Global Payments, del 19 giugno 2018; M.8258 – Advent International/Morpho; M.9089 – Hellman & Friedman/Concardis Payment Group, del 19 aprile 2017; M.8676 – Hellman & Friedman/Nets, del 7 novembre 2017; M.8553 – Banco Santander / Banco Popular Group, dell’8 agosto 2017; M.8386 Advent/Bain Capital/Concardis, del 7 marzo 2017; M.8073 – Advent International/Bain Capital/Setefi Services/Intesa Sanpaolo Card, del 10 agosto 2016; M.7873 – Worldline/Equens/Paysquare, del 20 aprile 2016; COMP/M.8149 – MasterCard/ VocaLink, del 17 October 2016; M.7241 – Advent International/Bain Capital/Nets Holding, dell’8 luglio 2014.

[2] Si veda il caso della Commissione Europea, M.9776 – Worldline/Ingenico, ancora pendente, nonché i casi M.9744 – Mastercard/Nets (non ancora pubblicato), del 17 agosto 2020; M.9759 – Nexi / Intesa Sanpaolo (Merchant Acquiring Business), del 26 giugno 2020; M.9775 – Global Payments/Caixabank/Moneytopay, del 17 aprile 2020; M.9625 – Banca Comerciala Romana/Raiffeisen Bank/Brd Societe Generale/Cit One, del 10 marzo 2020; M.9615 – Glory/Grenke Bank/Cash Payment Solutions, del 16 gennaio 2020.

[3] Si veda il caso della Commissione Europea, M.8073 – Advent International/Bain Capital/Setefi Services/Intesa Sanpaolo Card, del 10 agosto 2016.

[4] Nel biennio 2019-2020, inter alia, FIS ha acquisito WorldPay, Fiserv ha acquisito First Data; First Data ha acquisito Semeral; Global Payments si è fusa con TSYS; PayPal ha acquisito iZettle; Worldline ha acquisito SIX; Visa ha acquisito Plaid e Earthport; Mastercard ha acquisito il business A2A di Nets, Transactis, Transfast e VocaLink; Advent International ha acquisito Morpho; Hellman & Friedman ha acquisito Concardis; etc.

[5] Regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie per le operazioni di pagamento tramite carta; e Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno.

[6] Brennercom ha presentato ricorso incidentale, dichiarato inammissibile.

[7] Si veda il caso dell’AGCM, A523 – Ticketone/Condotte escludenti nella prevendita di biglietti, avviato il 20 settembre 2018 nei confronti di TicketOne S.p.A. e della sua controllante CTS Eventim AG & Co. KGaA.

[8] Con provvedimento del 23 ottobre 2019, l’AGCM ha esteso soggettivamente il procedimento anche a quattro promoter nazionali controllati dalla holding di TicketOne, che avrebbero cercato di boicottare una piattaforma concorrente dell’operatore leader. Si tratta delle società F&P Group S.r.l., Di and Gi S.r.l., Vivo Concerti S.r.l. e Vertigo S.r.l., che avrebbero attuato le diverse azioni di boicottaggio e ritorsione nei confronti della piattaforma ZED, concorrente di TicketOne.

[9] Con provvedimento del 18 settembre 2019, l’AGCM ha esteso oggettivamente il procedimento relativo alle suddette operazioni di acquisizione.

[10] Tali acquisizioni non superavano, quindi, le soglie di fatturato all’epoca vigenti. Nel 2017, la Delibera AGCM n. 26471 del 14 marzo 2017 prevedeva che il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate non superasse i 499 milioni di euro e che il fatturato realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate non superasse i 50 milioni di euro.

[11] Per effetto della modifica apportata all’art. 16, comma 1, della legge n. 287/90 dal D.L. n. 1/2012, convertito in legge n. 27/2012. Attualmente, in base all’ultima rivalutazione stabilità dall’AGCM con la delibera del 17 marzo 2020, le operazioni di concentrazione devono essere preventivamente comunicate qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a 504 milioni e il fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate sia superiore a 31 milioni di euro.

[12] In particolare, si veda l’intervento di Margrethe Vestager, Executive Vice-President for A Europe Fit for the Digital Age and Competition della Commissione Europea, nell’ambito della conferenza dell’International Bar Association tenutasi lo scorso 11 settembre 2020. La Commissione, secondo quanto riportato dalla Vestager, starebbe valutando se le soglie di fatturato costituiscano ancora un parametro adeguato ai fini della valutazione delle concentrazioni, e ciò in quanto numerose operazioni sembrano sfuggire al controllo essendo sotto-soglia. Al momento, tra le possibili soluzioni prospettate dalla Commissione per risolvere tale problematica, è stata prospettata, da un lato, la possibilità di introdurre una nuova soglia che consideri il valore della transazione e, dall’altro lato, l’opportunità per le autorità nazionali di attivare il referral alla Commissione ex art. 22 del Regolamento n. 139/2004, anche per operazioni che siano sotto-soglia in base alle giurisdizioni nazionali.

[13] In alcuni Paesi, come ad esempio Irlanda, Ungheria, Svezia e Lituania, esisterebbe già una sorta di controllo ex-post delle concentrazioni. Altri Paesi, come ad esempio, la Francia, stanno considerando l’opportunità di introdurre tale tipo di regime. Si vedano al riguardo il paper dell’OECD dell’11 maggio 2020, “Start-ups, Killer Acquisitions and Merger Control – Background Note”. Si veda altresì la consultazione avviata dall’Autorité de la concurrence, Réforme du droit des concentrations et contrôle ex post, September 2018”.

[14] In un recente caso, (20-D-01 del 16.01.2020) l’Autorità di concorrenza francese ha ritenuto che le norme su intese ed abusi non siano applicabili alle concentrazioni. Nel caso in questione l’autorità ha esaminato la denuncia di Towercast, secondo la quale l’operazione di acquisizione di Itas da parte dell’incumbent TDF, che non era stata notificata in quanto sotto-soglia, avrebbe costituito un abuso di posizione dominante, con cui TDF avrebbe rafforzato la sua posizione. A sostegno della possibilità di applicare l’art 102 TFUE al caso di specie, il denunciante ha invocato la sentenza della CGUE del 21 febbraio 1973, sul caso Continental Can Company e.a., C-6/72, in cui la Corte ha riconosciuto la possibilità di applicare le norme su abuso ad una concentrazione. Tuttavia, l’Autorità francese ha escluso la possibilità di applicare i principi della sentenza al caso in questione, sul presupposto che la sentenza sarebbe antecedente all’introduzione del Reg. 139/2004 e che, comunque, l’art. 21(1) del Regolamento n. 139/2004 escluderebbe la possibilità di applicare le norme su intese e abusi alle concentrazioni.

[15] Si veda il caso dell’AGCM, I842 – Vendita prodotti Apple e Beats su Amazon marketplace, avviato il 14 luglio 2020.

[16] Si veda il caso della Commissione Europea, AT.40462 – Amazon Marketplace, avviato il 17 luglio 2019.

[17] Si veda il caso dell’AGCM, A528 – FBA Amazon, avviato il 10 aprile 2019.

[18] Le distinte istruttorie sono state avviate il 20 agosto 2020. Si veda in proposito il comunicato stampa dell’Autorità del 7 settembre 2020, “CV194-CV195-CV196-PS11147-PS11149-PS11150 – Avviate istruttorie nei confronti di Google, Apple e Dropbox per i servizi di cloud computing”.

[19] Successivamente all’avvio dei procedimenti, l’AGCM ha disposto una consultazione pubblica sulle clausole contrattuali previste da ciascun operatore, finalizzata ad accertare se tali clausole siano da ritenersi vessatorie. Si tratta in particolare di tre distinte consultazioni, rivolte ad associazioni di categoria rappresentative degli operatori coinvolti, camere di commercio, nonché ad associazioni di consumatori. In particolare, con i comunicati del 7 settembre 2020, l’AGCM ha avviato tre distinte consultazioni sulle clausole contrattuali previste da Google, Apple e Dropbox ai sensi dell’art. 23, comma 6, del “Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazioni e clausole vessatorie”, invitando coloro che intendono partecipare alle consultazioni a presentare eventuali osservazioni entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione del comunicato.

[20] In proposito, si veda il comunicato stampa di cui alla nota 1.

[21] Cfr. art. 33, comma 2, lett. d) del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (“Codice del Consumo”) ai sensi del quale “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto di prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà”.

[22] Cfr. art. 33, comma 2, lett. b) del Codice del Consumo ai sensi del quale “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto di escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista”.

[23] Cfr. art. 33, comma 2, lett. m) del Codice del Consumo ai sensi del quale “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto di consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso”.

[24] Cfr. art. 35, commi 1 e 2 del Codice del Consumo. In particolare, il comma 2 stabilisce che “In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore”.

[25] Si veda il caso dell’AGCM, PS10601 – WhatsApp trasferimento dati a Facebook, dell’11 maggio 2017.

[26] Si osserva come l’Autorità abbia utilizzato lo strumento dell’indagine conoscitiva al fine di acquisire informazioni e osservazioni che consentissero di comprendere meglio le dinamiche competitive dell’economia digitale. Si vedano in proposito i risultati dell’“Indagine conoscitiva sui Big Data – Analisi della propensione degli utenti online a consentire l’uso dei propri dati a fronte dell’erogazione di servizi Primi risultati” (IC53),pubblicati dall’Autorità l’8 giugno 2018.


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