La Corte di Giustizia UE: Uber è un servizio di trasporto


La sentenza del 20 dicembre 2017 resa dalla Corte di Giustizia nella causa C-434/15 (la “Decisione”) è destinata a rappresentare un importante punto di svolta per l’inquadramento giuridico delle piattaforme online c.d. “marketplace”, basate su un modello che non si limita alla mera intermediazione tra domanda e offerta per l’utilizzo di un determinato servizio ma si spinge fino all’erogazione diretta dello stesso servizio attraverso la gestione del lavoro e dei beni.

La Decisione prende in esame il servizio di trasporto “peer to peer” offerto dall’applicazione UBER POP in cui conducenti non professionisti, che utilizzano il proprio veicolo, offrono a privati servizi di trasporto per lo spostamento all’interno dell’area urbana.

Il caso e i motivi della Decisione

La fattispecie riguarda l’esame di una domanda di pronuncia pregiudiziale promossa nell’ambito di una controversia insorta tra un’associazione professionale di taxisti della città di Barcellona e la Uber System Spain SL in merito alla fornitura da parte di quest’ultima a titolo oneroso, tramite piattaforma elettronica, del servizio di trasporto urbano operato da conducenti non professionisti (i “Servizi”). Più specificamente i Giudici comunitari sono stati chiamati a pronunciarsi sull’inquadramento giuridico dei Servizi tra quelli della società dell’informazione, con il conseguente riconoscimento del beneficio della libera prestazione garantito dall’art. 56 TFUE e dalle Direttive 2006/123 e 2000/31.

Da un lato la Corte ha confermato che, in linea di principio, un servizio di intermediazione che consente la trasmissione, mediante APP, delle informazioni relative alla mera prenotazione di un servizio di trasporto urbano di passeggeri può essere qualificato come “servizio della società dell’informazione”; dall’altro lato, i Giudici hanno puntualmente precisato che quando un tale servizio non si limita a favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta nel settore dei trasporti ma anzi si spinge ad organizzare il funzionamento generale a favore delle persone che richiedono uno spostamento in area urbana, allora in tal caso la fattispecie deve essere qualificata come “servizio nel settore dei trasporti” soggetto alle regole, stabilite a livello nazionale, applicabili ai servizi di trasporto pubblico urbano.

La Corte è giunta a tale conclusione a seguito di un’attenta analisi degli elementi che caratterizzano i Servizi offerti da UBER POP, quali la selezione dei conducenti non professionisti, l’influenza determinante sulle condizioni della prestazione dei conducenti nonché la fissazione della tariffa massima della singola corsa. Alla luce di tali considerazioni l’attività UBER POP «deve essere considerata parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto e, di conseguenza, rispondente non alla qualificazione di “servizio della società dell’informazione” […] ma di “servizio nel settore dei trasporti”».

I possibili scenari e la situazione italiana

L’analisi che ha condotto i Giudici comunitari a considerare i Servizi come attività di trasporto e non di mera intermediazione rievoca i motivi adottati dalla giurisprudenza italiana per l’individuazione e la qualificazione dello spedizioniere-vettore (art. 1741 c.c.) in luogo del mero spedizioniere (art. 1737 c.c.).

Viene dunque riconosciuto applicabile anche alle società della sharing economy operanti nei trasporti un principio generale secondo il quale chi assume con mezzi propri o altrui l’esecuzione del trasporto, in tutto o in parte, diviene titolare dei diritti e dei doveri tipici del vettore.

La Decisione produce effetti erga omnes in quanto vincola gli Stati membri a interpretare le disposizioni normative oggetto di analisi nei termini in essa indicati. Tuttavia non dovrebbe avere, almeno per il momento, delle rilevanti ripercussioni sull’attività di UBER in Italia, atteso che il servizio in argomento UBER POP è stato dichiarato illegale dal Tribunale di Torino perché considerato servizio di trasporto pubblico abusivo in ragione del contrasto con le disposizioni contenute nella legge quadro di riferimento n. 21/1992.

Occorre tuttavia rilevare che la Decisione offre anche spunti giuslavoristici interessanti ai fini della qualificazione dei rapporti dei collaboratori delle piattaforme tecnologiche. La Corte infatti, nel giungere alla conclusione che quello offerto da UBER POP è un servizio nel settore dei trasporti e non una mera intermediazione, rileva che UBER POP “organizza il funzionamento generale” del Servizio attraverso la selezione dei conducenti, la fornitura di un’applicazione necessaria allo svolgimento del Servizio stesso e “l’esercizio di un’influenza determinante sulle condizioni della prestazione” dei conducenti. Gli indici di tale “influenza determinante” sono ravvisati nel fatto che la piattaforma fissa il prezzo massimo della corsa, incassato dal cliente e riversato in parte al conducente e controlla la qualità dei veicoli, dei loro conducenti ed il comportamento di questi ultimi, potendoli escludere. Tali criteri, seppur indirettamente, potrebbero avere una portata più ampia rispetto al caso esaminato dalla Corte in quanto appaiono in contrasto con un inquadramento giuridico che qualificasse i collaboratori, pur in presenza degli indici sopra citati, come meri utenti di una piattaforma tecnologica di intermediazione tra domanda ed offerta, fornendo quindi ulteriori argomenti ai casi già oggetto di esame da parte dei tribunali del lavoro in Italia ed all’estero ed aventi ad oggetto la riqualificazione del rapporto di collaborazione.

Sarà interessante attendere le conseguenze derivanti dall’applicazione dei principi generali deducibili dalla Decisione, visto che quest’ultima non colpisce soltanto il settore dei trasporti ma può spiegare i suoi effetti anche nei confronti di altri soggetti che operino attraverso una piattaforma online.


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