Decreto 231/2001 – aggiornamento dei modelli organizzativi – i delitti tributari ed altre recenti modifiche nel catalogo dei reati presupposto



1. In Gazzetta Ufficiale la legge di conversione del Decreto Fiscale

Nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 24 dicembre 2019 è stata pubblicata la Legge 19 dicembre 2019 n. 157, che ha convertito, con emendamenti, il Decreto Legge 26 ottobre 2019 n. 124 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” (il “Decreto Fiscale”).

Dal 25 dicembre 2019 sono quindi entrate in vigore le novità introdotte dal Decreto Fiscale, tra cui l’inserimento del nuovo art. 25-quinquiesdecies, rubricato “Reati tributari”, nel Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n. 231, che disciplina la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche (il “Decreto 231”). Il tema è già stato trattato nella nostra precedente Newsletter del novembre 2019.

Mentre la versione originaria dell’art. 25-quinquiesdecies tuttavia introduceva tra i reati presupposto ai sensi del Decreto 231 la sola dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 Decreto Legislativo n. 74 del 2000), la versione finale convertita in legge comprende anche la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 Decreto Legislativo n. 74 del 2000), l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 Decreto Legislativo n. 74 del 2000), l’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 Decreto Legislativo n. 74 del 2000) e la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 Decreto Legislativo n. 74 del 2000).

In caso di profitto di rilevante entità, la pena pecuniaria viene aumentata di un terzo.

Infine, a differenza di quanto inizialmente stabilito, il testo pubblicato prevede l’applicabilità delle misure interdittive (anche in via cautelare) in relazione ai tributari richiamati dal nuovo art. 25-quinquiesdecies: si tratta, in particolare, del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e del divieto di pubblicizzare beni o servizi.

2. Corruzione tra privati

Il reato di corruzione tra privati (art. 2635 cod. civ.) e i suoi riflessi all’interno del Decreto 231 sono stati oggetto di recenti modifiche normative e, nell’ottica del costante processo di aggiornamento dei Modelli organizzativi in capo agli enti interessati, si ritiene opportuno richiamarne alcuni aspetti di particolare delicatezza di cui occorre tenere conto nell’elaborazione dei protocolli preventivi.

Anzitutto, la c.d. “Legge Anticorruzione” (Legge 9 gennaio 2019 n. 3) ha previsto, tra l’altro, il regime della procedibilità d’ufficio (in luogo della precedente querela di parte) per i reati di corruzione tra privati e di istigazione alla corruzione tra privati. Ciò significa che, in relazione a tali fattispecie, l’Autorità Giudiziaria potrà acquisire la notizia di reato e procedere all’avvio delle investigazioni a prescindere dalla volontà della persona offesa (di norma, la società che ha subito l’illecito).

Inoltre, in precedenza il Decreto Legislativo 15 marzo 2017 n. 38 – che ha introdotto nell’ordinamento giuridico la fattispecie dell’istigazione alla corruzione tra privati – relativamente al reato di corruzione tra privati ha tra l’altro: (i) esteso il novero dei soggetti attivi, includendo tra gli autori del reato, oltre a coloro che rivestono posizioni apicali di amministrazione o di controllo, anche coloro che svolgono attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati; (ii) dilatato l’alveo delle condotte incriminabili (includendo, ad esempio, la sollecitazione del denaro o di altra utilità non dovuti da parte del soggetto “intraneo”, o la commissione del fatto anche per interposta persona); (iii) eliminato il riferimento alla necessità che la condotta «cagioni nocumento alla società», con conseguente trasformazione della fattispecie da reato di danno a reato di pericolo.

3. Convertito in legge il decreto sulla cybersicurezza

Il 14 novembre 2019 la Camera dei Deputati ha approvato la conversione in legge, con emendamenti, del Decreto Legge 21 settembre 2019 n. 105 recante “Disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”. Detto perimetro, concettualmente, ricomprende le reti, i sistemi informativi e i servizi informatici delle amministrazioni pubbliche e degli enti e degli operatori, pubblici e privati, aventi sede nel territorio nazionale, “da cui dipende l’esercizio di una funzione essenziale dello Stato” o “la prestazione di un servizio essenziale per il mantenimento di attività civili, sociali o economiche fondamentali per gli interessi dello Stato” e dal cui malfunzionamento, interruzione, anche parziali o utilizzo improprio possa derivare un pregiudizio per la sicurezza nazionale”. Gli enti pubblici e privati ricompresi nel perimetro hanno particolari obblighi di cybersecurity e la loro violazione può innescare illeciti penali che comporteranno per le società sanzioni pecuniarie fino a quattrocento quote[1].


[1] L’importo di una quota è previsto tra un valore minimo di 258 euro e un massimo di 1.549 euro, che viene stabilito, tra l’altro, in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell’impresa, per assicurare l’efficacia della sanzione.


Scarica il documento